Il divario produttivo, imprenditoriale e competitivo in Italia è spesso, in realtà, un divario culturale. Questo divario influisce profondamente sul nostro modo di intendere l’imprenditoria e ostacola le possibilità di successo nel mondo degli affari. In Italia, aziende come Amazon, Marvel, Apple, General Motors e molte altre non potrebbero mai nascere, fallire e poi rinascere come è successo negli Stati Uniti.

Di seguito, riassumo quelle che ritengo siano le principali differenze culturali che costituiscono questo divario in un ambiente dove il fallimento è un vanto e un ambiente dove questo è una vergogna.

  • Approccio culturale al fallimento:
    • USA (Exit): Negli Stati Uniti, il fallimento è quasi un distintivo d’onore; fallire è considerato un passo necessario verso il successo e un segno di audacia. L’uscita da un’azienda che non ha funzionato può addirittura aumentare la reputazione dell’imprenditore, evidenziandone la resilienza e il coraggio. La cultura americana vede il rischio come una virtù e un fallimento come un punto di partenza.
    • Italia (Fallimento): In Italia, invece, fallire è un marchio infamante. Il fallimento non è un’esperienza di apprendimento ma un’umiliazione pubblica che rischia di chiudere ogni porta. L’imprenditore che cade in difficoltà viene visto come inaffidabile e indegno di nuova fiducia, in un sistema che considera il rischio come una deviazione da evitare a tutti i costi.
  • Percezione del rischio:
    • USA: In America, il rischio è venerato e chi lo evita è spesso visto come carente di ambizione. Il sistema premia chi “spara alto” e incoraggia a puntare tutto, perché anche un fallimento apre nuove strade.
    • Italia: Al contrario, in Italia il rischio è un pericolo da scansare, e chi fallisce paga il prezzo massimo: la reputazione distrutta. Qui l’errore è imperdonabile, ed è molto più sicuro seguire il percorso più conservatore, spesso a discapito dell’innovazione.
  • Conseguenze legali e burocratiche:
    • USA: Il fallimento negli Stati Uniti è snellito da leggi che proteggono l’imprenditore, permettendogli di ripartire quasi subito. Il sistema legale mira a mantenere attiva l’economia, trattando il fallimento come un rallentamento temporaneo.
    • Italia: In Italia, le procedure fallimentari sono un pantano burocratico che soffoca l’imprenditore. Liquidazione e lunghi procedimenti giudiziari lo seguono, con la prospettiva di ripartire resa quasi impossibile. Il fallimento è una caduta senza appello, con ripercussioni spesso personali oltre che economiche.
  • Impatti sociali e professionali:
    • USA: Un imprenditore con “exit” multiple, anche fallimentari, è spesso rispettato, visto come una fonte di esperienza e resilienza. Il fallimento è integrato nel sistema come un passo verso nuove possibilità, e l’ecosistema investe su chi ha già “provato e sbagliato”.
    • Italia: In Italia, un fallimento chiude le porte e l’imprenditore è spesso considerato un “fallito” a vita. La cultura preferisce chi non rischia mai di perdere, e lo stigma nei confronti di chi ha fallito è così radicato da farne un “caso da evitare” piuttosto che un professionista esperto.

Questa differenza tra l’America, che spinge a riprovare e a scommettere ancora più in alto, e l’Italia, che punisce l’errore, crea un abisso. Negli Stati Uniti, l’innovazione prospera sull’onda dei fallimenti, mentre in Italia ogni fallimento rischia di soffocare nuovi tentativi, portando a un clima di stagnazione dove il rischio è visto come una follia piuttosto che una leva di crescita.